"Vorrei imparare dal vento a respirare, dalla pioggia a cadere,
dalla corrente a portare le cose dove non vogliono andare,
e avere la pazienza delle onde di andare e venire, ricominciare a fluire..."
(Tiromancino)

giovedì 20 novembre 2008

IL DIALETTO LECCHESE E I PESCI DEL LARIO

CavedanoLavarèll, Agun, Pèrsech, Cavéden, Loeusc

Per chi abita sulle rive di un lago, questi nomi familiari si riferiscono a pesci che entrano spesso nelle nostre usanze alimentari. Il lavarello, che appartiene alla famiglia dei salmonidi e che viene chiamato anche coregone, tra il suo nome dal latino (salmo) lavaretus, divenuto in francese lavaret e, nel nostro dialetto, laverèll. L’agone, noto anche con il nome di sardella, deriva il suo nome dal latino agnus da acus “ago”. Il persico, in dialetto pèrsech, non ha nulla a che vedere con la Persia o con la pesca che pure viene chiamata con lo stesso nome: pérsech; è un pesce simile alla perca e il suo nome deriva dal longobardo parsik da cui anche il tedesco moderno Barsch. Il cavedano, in dialetto cavéden, altrimenti chiamato cavezzal, era chiamato in latino capitio-onis “dalla testa grossa”. Il luccio, loeusc in dialetto, è il più vorace dei pesci dei nostri laghi ed è chiamato anche “lo squalo delle acque dolci”; il suo nome deriva dal latino lucius.

Luccio
Misultìn

Fra le numerose specialità della cucina lariana un posto d’onore deve essere riservato ai misultétt, che, come tutti sanno, sono gli agoni squamati e ripuliti delle interiora e posti per qualche giorno a seccare al sole. Fino a non molti anni fa non era insolito vedere questi pesci infilati attraverso gli occhi con un filo o uno spago e disposti su tavole appoggiate al muro qui a Pescarenico (rione di Lecco), in piazza Era o in piazza del Pesce. Una volta ben secchi, gli agoni venivano messi nella misulta, che è sorta di mastello in legno, ma più raramente anche di latta, alternando uno strato di pesci con uno strato di sale e, a volte, alcune foglie di alloro. Per venire a capo del nome, per spiegare il quale sono state date le interpretazioni più stravaganti, occorre rifarsi ad un antico verbo, oggi disusato: misaltare, che significava “sottoporre a salatura per la conservazione della carne fresca (di porco, di pollame o anche di bovini). Il verbo deriva dal latino medievale misaltare, a sua volta dal germanico missa con valore negativo e peggiorativo, e saltan “salare”. In italiano antico esiste anche il vocabolo misalta che significa “carne fresca e salata di maiale”. Il termine è stato applicato, da noi, anche nella salatura degli agoni ed è quindi singolare che questa antica parola sia sopravvissuta solamente in alcuni dialetti lombardi.

Agone


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